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Perché è così difficile chiedere aiuto?

La richiesta di aiuto e, quindi, l’accettazione dello stesso, risultano spesso molto complesse e faticose da attuare. Molte persone sono improntate su un senso forte di autonomia e indipendenza che spesso li porta a non chiedere mai sostegno e a fare di tutto da sè. Per altri il chiedere aiuto è qualcosa di assolutamente lontano da sé ed inaccettabile.

Sono i cosidetti malati di crisi: persone, di qualsiasi età,  psicologicamente provate che tendono a isolarsi e cadono nella rete dei disagi mentali dopo che la scure del futuro incerto e della precarietà si è abbattuta sulla loro psiche.

Ci sono i giovani nei quali è rilevante il pensiero di ‘assenza di futuro’;  ci sono anche persone tra i 30 e i 60 anni, spesso in situazione di precarietà lavorativa. Ci sono quelli che non hanno paura di lavorare in team, e quelli, invece, che preferiscono fare da soli perché provano disagio per l’intimità e la condivisione, oppure perché non sopportano di chiedere aiuto ai colleghi. Alcuni non possono fare a meno del consenso, altri vivono male le responsabilità. E la nostra quotidianità si riempie di cronache animate di ‘insospettabili’ che da un giorno all’altro compiono gesti inaspettati.

Perché è così difficile chiedere aiuto?

I motivi alla base del non chiedere ed accettare l’aiuto sono molteplici.

1)     Innanzitutto è una questione culturale: nelle società occidentali, a differenza, per esempio di quelle africane, vige questo retaggio culturale molto antico in cui accettare un aiuto è segno di debolezza; gli antichi guerrieri dovevano essere forti e coraggiosi e la possibilità di avere bisogno, di non farcela, non era accettata e, in ogni caso, era sinonimo di poco valore e poca “virilità”. Erano abituati a fare tutto in autonomia ed essere autosufficienti. Questa stessa mentalità, oggi, è ancora diffusa, alimentata dal forte individualismo, dal perfezionismo e dalla legge della performance e del successo e dal voler dimostrare, a tutti i costi, di essere all’altezza della sfida, di valere e di meritare il meritabile. Contrariamente si viene a perdere credibilità, fiducia e stima mettendo a rischio la scalata verso il successo nel lavoro e nella vita. L’idea di rivolgersi agli altri per condividere la propria difficoltà è offensivo e irritante, li fa sentire a disagio, li spinge a giudicarsi dei deboli o dei pigri, incapaci di impegnarsi e reagire, dei falliti. Sono persone che magari hanno sempre risolto da sole i loro problemi ed improvvisamente non si capacitano del fatto di non riuscirci più e di non essere in grado di controllare tutto come sempre. Per queste persone chiedere aiuto vuol dire scendere a patti con il proprio narcisismo e il desiderio di autosufficienza: chiedere aiuto è un attacco alla loro autostima.

2)     E’ poi una questione di educazione: anche qui, prettamente nelle società occidentali, si cresce in famiglie in cui si insegna che chiedere aiuto non è possibile, che è simbolo di debolezza e incapacità. Famiglie che esortano all’autonomia e all’indipendenza che però sfiorano nella totale, o quasi, disattenzione per i bisogni altrui. Questo può trasmettere un senso di inadeguatezza rispetto al bisogno di farsi aiutare e quindi la tendenza a non farlo, a cavarsela da solo, a silenziare il proprio bisogno, fino all’estremo delle forze. Inoltre, non si ha più quella sana e necessaria educazione all’essere autonomo e assumersi le proprie responsabilità, ma si arriva agli eccessi, non contemplando minimamente la possibilità di avere bisogno, di sbagliare o essere in difficoltà.

3) Ci sentiamo troppo autosufficienti. Essere fiduciosi nella nostre capacità di fare le cose da solo è motivante, ma è possibile andare troppo oltre. Spesso possiamo essere molto più efficaci, efficienti e creativi raggiungendo e chiedendo input e risorse ad altre persone.

Partiamo troppo spesso dal presupposto che nessuno può aiutarci.In realtà, numerosi studi dimostrano, che la maggior parte delle persone, anche sconosciuti, è disposta ad aiutare. Ma è necessario chiedere. Non possono aiutarci se non sanno di cosa abbiamo bisogno.

Non riteniamo di aver guadagnato il privilegio nel fare una richiesta.Presumiamo che chiedere sia un privilegio guadagnato aiutando gli altri. Ma se tutti aspettassero di dare un aiuto prima di riceverlo, non accadrebbe nulla. Le richieste guidano il ciclo dare-ricevere. A breve termine, potremmo chiedere più di quanto diamo. L’obiettivo a lungo termine è essere sia un donatore che un richiedente in egual misura.

Infine, non vogliamo apparire egoisti. Finché aiutiamo gli altri e chiediamo ciò di cui abbiamo bisogno, non lo saremo. Se abbiamo difficoltà a chiedere, cerchiamo opportunità per aiutare. E ricordiamoci che chiedere ciò di cui abbiamo bisogno è una forza, non una debolezza.

 

 

4) Paura delle emozioni e paura del giudizio altrui: alcuni non amano parlare di sé stessi e del modo in cui si sentono, non vogliono entrare in contatto con le loro emozioni più dolorose. Il timore di essere giudicati, cioè la paura che alla fatica del mettere a nudo il proprio cuore corrisponda la critica, è una degli ostacoli più frequenti da superare per poter chiedere aiuto. L’orgoglio misto al senso di vergogna generati nel farlo, sorgono dall’idea che chiedere aiuto esponga ad una fragilità e ad un senso di debolezza che non si vuole mostrare all’altro. Mostrarsi bisognosi e incapaci di risolvere una questione in autonomia crea disagio ed espone a possibili giudizi sul proprio valore e sulle proprie capacità. Questo va profondamente a “ferire” l’orgoglio che, specialmente per alcune persone è molto forte e l’idea di condividere una possibile azione o risoluzione di un problema con qualcuno, dovendo poi ringraziare o, peggio ancora, dividere i meriti, è qualcosa di veramente complicato da accettare. Quindi molto più semplice è provare a farcela in totale autonomia. Poi c’è anche la paura del rifiuto, e l’idea che le conseguenze della richiesta siano troppo dolorose e complesse da sopportare. Spesso in questi casi, vi è un esperienza nel passato in cui le richieste di aiuto o all’espressione di un bisogno, hanno generato risposte di diniego, o in alcuni casi vera e propria assenza di risposta. Le sensazioni spiacevoli e la paura di andare incontro ad altre e molteplici “porte chiuse” determina una fatica nell’esprimere i propri bisogni e a celare le difficoltà, ritenute poco degne di aiuto e sostegno e se stessi poco importanti e adeguati a ricevere supporto.  Basterebbe però solamente pensare che dare aiuto fa star bene non solo chi lo riceve, ma anche che lo dona.

 

 

3) Paura del cambiamento e pessimismo: questa è forse la più subdola tra tutte: la convinzione che per i problemi non ci sia soluzione può nascondere altro, ad esempio la paura di cambiare o la sensazione di non avere diritto a ricevere aiuto. La paura di cambiare è un aspetto che può sembrare paradossale, ma cambiare comporta sempre una dolorosa separazione da modi di essere, di pensare e di comportarci che ci accompagnano da una vita intera e che ci sono noti e familiari. Alcune persone si spaventano dinanzi all’eventualità di un cambiamento anche se si tratta di modificare modi di essere che le fanno star male e preferiscono pensare che dovrebbero essere gli altri a cambiare, non loro. Ma chiedere aiuto è un atto di coraggio che cambia il corso della vita.

 

4)    Difficoltà ad ammettere il problema o un bisogno. Molte persone faticano in questo perché genera senso di inadeguatezza, incapacità e fallimento. Tutte sensazioni estremamente faticose da accettare e superare. Più facile è invece nascondere a sé e agli altri di avere una necessità di aiuto e sostegno e perseverare nel proprio stato, comportamento o atteggiamento disfunzionale e, talvolta doloroso. È quanto capita specialmente nei casi di disagi psichici o in condotte inadeguate e “pericolose”. Dietro all’incapacità e difficoltà nell’accettare la necessità di sostegno si celano molteplici sensazioni e pensieri, come ad esempio il senso di inadeguatezza nell’affrontare una situazione, la sensazione che essa sia troppo grande di per sé e difficile da affrontare, oppure la convinzione che il comportamento assunto sia adeguato e non giovi conseguenze negative, ma anzi talvolta sia efficace nel placarle e tenerle a bada.

 

Per tutti questi motivi e, sicuramente altri particolari e personali, le persone faticano a chiedere aiuto. Quello che è certo è che fare una richiesta di questo tipo non è mai semplice, per nessuno, perché implica aprirsi, ammettere di non riuscire da solo, mostrare anche le proprie debolezze o punti di inadeguatezza. Tuttavia, è altrettanto vero che la richiesta di aiuto è il primo passo per il cambiamento: verso il benessere in caso di patologia o disagio psicologico o fisico, verso l’apprendimento in caso di fatica scolastica o lavorativa, verso la crescita, il miglioramento, l’accrescimento di risorse, conoscenze e competenze. Questo perché nel mostrare le proprie fragilità e dando la possibilità ad altri di compensarle, permette spesso di scoprire lati e risorse che non si credeva di avere oppure imparare nuove strategie e modalità di azione più funzionale. Quindi, chiedere aiuto è un atto di coraggio verso se stessi a cui si dona la possibilità di sbagliare, cadere per migliorarsi e crescere.

 

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Come provare a superare questo scoglio?

 

Sinceramente sono dell’idea che ognuno debba trovare il proprio modo di superare questo scoglio. Dalla mia esperienza vi è un  altro grande motivo per cui le persone non chiedono aiuto ed è perché non sanno cosa chiedere o come chiedere. Nel corso degli anni, sulla base di lunghi periodi di ricerca, consulenza e insegnamento, ho sviluppato una serie di pratiche e linee guida per aiutare in questo. Non ho certamente la panacea di tutti i mali, ma qui posso limitarmi a raccontarvi come ho agito nei diversi frangenti di necessità e come ho visto applicare gli stessi suggerimenti dai miei mentee.

 

 

In primo luogo, chiarifichiamo il nostro obiettivo. Prendiamoci del tempo per prepararci con cura e pensare a cosa stiamo cercando di raggiungere o quale obiettivo stiamo cercando di raggiungere. Una volta che sappiamo di cosa si tratta, possiamo capire di quale risorsa abbiamo bisogno e possiamo pensare in modo ampio. La risorsa che stiamo cercando potrebbe essere informazioni, risorse finanziarie, una connessione, consigli di esperti, raccomandazioni,  materiali o qualsiasi altra cosa di cui abbiamo bisogno.

 

Per avere un po’ di chiarezza, proviamo a completare queste affermazioni:

 

· Attualmente sto lavorando su… e potrei usare l’aiuto per…

· Sto lottando per… e trarrei vantaggio da…

· La mia più grande speranza è… e ho bisogno di…

 

In questo modo, avremo un’idea concreta di ciò che stiamo cercando di realizzare, del perché e delle risorse di cui abbiamo bisogno. Possiamo renderlo una pratica quotidiana per completare queste affermazioni.

 

Per fare una richiesta efficace e abilitante, seguo spesso i criteri SMART, che in Inglese vogliono significare Specific, Meaningful, Action, Realistic, Time:

 

·       Specifico (Specific). Chiedere qualcosa di specifico attiva i ricordi delle persone di ciò che sanno e di chi conoscono. Una richiesta generale no. La richiesta più generale che abbia mai sentito è stata da un dirigente olandese che ha detto: “Ho bisogno di informazioni”.  E questo è tutto. Ho chiesto: “Puoi spiegarti meglio?”  e mi risponde: “No, è confidenziale. Non posso dire altro“. Beh, non ha avuto alcun aiuto quel giorno. Più specifica sarà la tua richiesta, più efficace sarà.

 

 

·       Significativo (Meaningful). Includiamo perché stiamo facendo questa richiesta. Le persone spesso lo tralasciano, ma è la parte più importante dei criteri SMART. Perché hai bisogno di quella particolare risorsa? Cosa stai cercando di ottenere? Supponiamo, ad esempio, che tu abbia semplicemente detto: “Ho bisogno di alcuni volontari che esaminino un rapporto per me“. Questo non dice perché la richiesta sia importante e significativa. Una richiesta più forte sarebbe: “Sto sviluppando un rapporto trimestrale DEI per il team di gestione. L’obiettivo è fornire metriche accurate, tempestive e utilizzabili sui nostri progressi. Ho bisogno di tre o cinque persone che possano dedicare circa un’ora alla revisione del nuovo rapporto e fornire feedback nei prossimi cinque giorni lavorativi. Faresti volontariato?”

 

·       Azione (Action). Chiediamo qualcosa da fare, piuttosto che ribadire il nostro obiettivo o il perché della nostra richiesta. Nell’esempio sopra, l’azione è costituita da persone che fanno volontariato, quindi rivedono e forniscono feedback. Il solo dire “Ho bisogno di alcuni volontari che esaminino un rapporto per me” non fornisce informazioni sufficienti sulle azioni richieste.

 

·       Realistico (Relistic). Incoraggiamo  le persone a fare richieste estese, ma devono essere nel regno delle possibilità.

 

·       Tempo (Time). Menzionare una scadenza specifica è molto meglio di una generica. Se la nostra richiesta è urgente, diciamolo. L’urgenza motiverà le persone a rispondere.

 

 

 

Chiediamo poi alle persone giuste. Quando abbiamo bisogno di aiuto, tendiamo a pensare alle stesse persone: il capo o il collega, i nostri amici o qualcuno della nostra famiglia o della nostra comunità locale. Ma è utile pensare oltre i “soliti sospetti”. Invece di chiedere a qualcuno che potrebbe avere la risorsa di cui abbiamo bisogno, possiamo chiedere a qualcuno che potrebbe conoscere qualcun altro che ha la risorsa: lo chiamo il “metodo in due fasi“. Anche se non sappiamo chi è l’esperto, potremmo conoscere qualcuno che probabilmente lo sa. Il metodo in due passaggi espande la nostra portata.

Un altro gruppo di persone che spesso trascuriamo sono ilegami dormienti, le relazioni che abbiamo avuto in passato. Potremmo essere riluttanti a chiedere aiuto e assistenza a un legame dormiente perché riteniamo che non sarebbero ricettivi. Ma la ricerca suggerisce che le nostre connessioni dormienti sono felici di sentirci e vogliono aiutare. E sono importanti fonti di aiuto perché le nostre vite sono andate in direzioni diverse e ora conoscono cose e persone che sono molto diverse da cosa e chi conosciamo.

 

Se qualcuno offre il proprio aiuto, accettiamolo con gratitudine. Ottenere aiuto può significare rinunciare a un po’ di controllo. Lasciamo fare con relativa fiducia. Quanti di voi possono capire, soprattutto se siete   donne d’affari che si destreggiano tra molti ruoli, inclusa la maternità? Ecco che chiedere aiuto per prendersi cura dei bambini mentre siete impegnate a rispettare una scadenza o un viaggio di lavoro. Questo può essere piuttosto scoraggiante. A volte chiediamo aiuto, riceviamo una risposta positiva, ma vogliamo comunque dare una lunga lista di “cose da fare”, come, quando e con quale frequenza farle. Significa che non stiamo dando loro piena autonomia per fare le cose nel modo in cui sono a loro agio. Potrebbe essere che abbiamo problemi di fiducia? Perché presumere che la nostra strada sia sempre quella più giusta?

 

Impariamo a delegare – Ho avuto l’opportunità di fare da mentore ad alcuni professionisti e imprenditori  nella mia società di consulenza aziendale. Un filo conduttore durante queste sessioni di mentoring è il modo in cui le persone faticano a delegare e penso che questa sia anche un’altra forma di incapacità/paura nel chiedere aiuto. Vogliamo aggrapparci a tutto per la mentalità del “sono affari miei”, ma questo spesso porta il vostro personale a sentirsi impotente o a non essere sufficientemente apprezzato o affidabile. Per non parlare della maggiore possibilità di burn-out da parte dell’imprenditore/professionista. Dopotutto, abbiamo tutti 24 ore in un giorno e possiamo fare solo ciò che è possibile.

 

 

Se la richiesta di aiuto viene rifiutata, prendiamo in considerazione altre opzioni. Non passiamo subito alle peggiori conclusioni sul perché qualcuno ci ha negato il proprio aiuto. Sì, questo a volte ci porta a dubitare di andare a chiedere aiuto alla persona che prima ha rifiutato la nostra richiesta. Pensiamoci, forse il tempismo della nostra richiesta era “sbagliato”: la persona avrebbe potuto essere sommersa da altre cose in quel momento, quindi non poteva aiutarci. Evitiamo di avere quelle conversazioni “negative” con noi stessi sui veri motivi per cui quella persona ha rifiutato la nostra richiesta di aiuto. Ottenere aiuto può anche significare chiedere a più persone, in ogni caso.

 

 

Chiediamo, nonostante il senso di disagio. Notiamo qualsiasi paura, ansia o vergogna che sorgono mentre ci accingiamo a chiedere aiuto. Etichettiamo le emozioni, evochiamo il vostro coraggio e chiediamo comunque. Ci vergogniamo a chiedere aiuto? Abbiamo paura che la nostra richiesta venga respinta? Personalmente, ho fatto questo esercizio per cercare di notare i sentimenti che sorgono dentro di me quando sto per chiedere aiuto. Ho scoperto che la cosa più grande che spesso mi impedisce di chiedere aiuto è la valutazione ed il giudizio che do all’altra persona. Sbagliatissimo. A volte i migliori alleati li trovi proprio nelle persone apparentemente inadeguate al tuo bisogno.

Usiamo la capacità di comunicazione assertiva. Siamo aperti, diretti e rispettosi: non scherzare; in caso contrario, ci imbattiamo in una richiesta frivola a cui non abbiamo dato il peso giusto.

Cerchiamo di essere il più chiari possibile su ciò di cui abbiamo bisogno. Cerchiamo di rendere la nostra richiesta semplice e specifica. Se non siamo sicuri del tipo di aiuto di cui abbiamo bisogno, chiediamo piuttosto alla persona da cui stiamo cercando aiuto se possiamo parlarne insieme.

 

 

Allora, è davvero meglio dare che ricevere? Può essere meglio dare che ricevere, ma è meglio dare e ricevere. Non c’è dare senza ricevere, ed è la richiesta che guida l’intero ciclo. Chiedere, dare e ricevere girano la ruota della reciprocità.

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