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Mi contatta Massimo, Mister di una squadra di calcio maschile, dopo aver letto le mie riflessioni sul razzismo nello sport in Italia nel mio WebMag di MΓ©tissage Sangue Misto, (https://www.metissagesanguemisto.com/sport-atleti-di…/ ).

Mi racconta che non aveva mai considerato il problema degli allenamenti dalla prospettiva che avevo proposto nel pezzo perchΓ© β€œnon vedeva il colore della pelle dei suoi altleti” e β€œtutti erano uguali al suo cospetto”, ma, francamente, aveva sempre avuto particolari difficoltΓ  nel gestire le fragilitΓ  e insicurezze dei suoi ragazzi di colore diverso dal bianco perchΓ© in gara le loro prestazioni erano incostanti, perdevano troppo spesso fiducia nelle loro abilitΓ  e nel loro talento oltre che a distrarsi facilmente in campo al primo scherno dei tifosi.

Ripone così fiducia nelle mie competenze e nella mia capacità di gestire un tema così delicato con la serena consapevolezza che i suoi limiti dovevano essere riconosciuti e doveva in qualche modo trovare una soluzione per ottenere il massimo dai suoi atleti.

Parto dal primo presupposto che non sarebbero gli atleti ad essere educati, ma chi, tra i tifosi sugli spalti, pensa di sfogare le proprie frustrazioni in un contesto che tutto dovrebbe essere tranne che ostile. Ma, tant’è. Il mio compito, nello specifico, Γ¨ lavorare con i ragazzi e trovare il modo che possa far loro guadagnare sufficiente autostima da farsi scivolare addosso le urla e i dimenamenti di quattro svitati collerici.

Detto questo, devo far notare come ci sia una forte inclinazione a trattare tutti allo stesso modo perchΓ© β€œΓ¨ una squadra”, il che non Γ¨ sempre la risposta giusta, soprattutto se si vuole essere centrati sull’apprendimento. Non si puΓ² trattare tutti allo stesso modo, ma se non si ha la capacitΓ  di capire che le persone hanno esigenze diverse, allora si rischia di deludere alcuni, mentre si aiutano molto altri.

Si allenano esseri umani, persone, in base alla loro personalitΓ  e l’errore piΓΉ grande che si possa fare Γ¨ cercare di incasellare tutti in un box. Conoscere i propri atleti al di lΓ  dei tecnicismi sportivi ha sempre dimostrato di rendere le squadre piΓΉ forti. Gli allenatori bianchi dovrebbero sostenere gli atleti neri e di diversa estrazione, non solo aprendo le orecchie per ascoltare, ma anche aprendo gli occhi per guardare. Il linguaggio del corpo, per esempio, Γ¨ un indicatore molto chiaro di quanto un atleta sia a suo agio con i compagni di squadra e gli allenatori, soprattutto perchΓ© la pratica di uno sport comporta una quantitΓ  significativa di interazioni personali.

Dal canto mio, il lavoro fatto sui ragazzi, Γ¨ quello di aiutarli a capire come la loro mente influenzi le prestazioni e ad imparare come applicare strategie mentali per affinare il loro gioco e dare il meglio di sΓ©. Lavoriamo insieme sulla fiducia proattiva, sull’autostima, sul parlare di sΓ© in modo positivo, sul controllo emotivo, gli stili motivazionali, le aspettative, le zone di comfort ma, soprattutto sui temi taboo quali la rappresentazione, l’approvazione sociale e il ruolo del sentirsi β€œdiversi” nella propria personale prestazione.

Dare loro uno spazio confortevole e sicuro dove si sentano aperti a condividere le loro eventuali difficoltΓ  nel relazionarsi con i compagni, gli allenatori o la dirigenza o esprimere le proprie vulnerabilitΓ  fuori o dentro il campo e poter lavorare, creativamente, sul lato mentale del gioco per migliorare le loro prestazioni.

L’esperienza, a questo punto, gioca un ruolo fondamentale per aiutare l’atleta a superare i limiti personali (come i dubbi su se stesso, il plateau di allenamento o la frustrazione) e a superare sfide inaspettate (come la sconfitta, la fatica o l’infortunio) per raggiungere i propri obiettivi. Essere un campione non significa solo essere fisicamente superiori, ma anche essere mentalmente preparati, imparare ad affrontare le sfide, a superare le barriere ed a ottenere un vantaggio mentale sugli avversari.

www.luisacasagrande.com

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