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MEI, non DEI? Solo se la ‘M’ sta per “manca il punto”

 
 

E’ fantastico! Ora abbiamo i puritani del DEI (Diversity, Equity & Inclusion) che ci introducono il nuovo processo MEI (Merito, Eccellenza e Intelligenza) . Praticamente i fautori del MEI, capitanati da Alexandr Wang (colui che ha coniato l’acronimo), co-fondatore e CEO di Scale AI, riducono la faccenda  più o meno alla prima lettera. Secondo Wang, la meritocrazia è al centro delle decisioni di assunzione della sua azienda: “Ciò significa che assumiamo solo la persona migliore per il lavoro, cerchiamo ed esigiamo l’eccellenza e preferiamo senza vergogna le persone molto intelligenti. Sostengono, quindi, che le organizzazioni dovrebbero concentrarsi sull’assunzione dei candidati migliori in base alle loro qualifiche, senza considerare i fattori demografici, sostenendo che la diversità si verificherà naturalmente quando le decisioni saranno basate esclusivamente sul merito. Tuttavia, Il modello MEI di Wang non ha colto il punto. Questa prospettiva manca di una comprensione cruciale di ciò che la Diversità, l’Equità e l’Inclusione (DEI) comprendono veramente e del perché non solo sono compatibili con il merito, ma sono essenziali per esso.

 

Nonostante Wang non descriva esplicitamente la MEI come un’alternativa alla DEI  sottolineando di  non “stereotipare ingiustamente, tokenizzare o trattare in altro modo chiunque come membro di un gruppo demografico piuttosto che come individuo” e nonostante affermi che esiste un’idea errata comune secondo cui la meritocrazia è in conflitto con la diversità, ha mancato completamente il punto. La sua convinzione che le assunzioni meritocratiche possano essere realizzate senza la DEI va a cozzare contro il fatto che il MEI funziona solo se il campo di gioco è già livellato… cosa che non si è ancora verificato perché:

  1. le risorse umane e i responsabili delle assunzioni spesso esaminano questi candidati in base ai loro pregiudizi preesistenti;
  2. anche quando questi candidati qualificati riescono a superare la prova, c’è sempre una malsana presunzione che non siano completamente qualificati e probabilmente entreranno nel loop dove  subiranno commenti razzisti, sessisti, poco abili, ecc. e dovranno lavorare il doppio per essere promossi rispetto alle loro controparti bianche, maschili, etero e non disabili. Oppure, peggio, verranno scartati perché elementi polarizzanti, potrebbero creare problemi all’armonioso andamento del processo aziendale. (Provare per credere gente!)

 

Ritenere che la sostituzione del DEI con il MEI permetta alle aziende di assumere i candidati migliori “senza pregiudizi in nessuna direzione” è già di per sé immeritocratico perché non tiene conto che, gli esseri umani sono portatori di pregiudizi, ed è preoccupante che il CEO di un’azienda che alimenta la rivoluzione dell’AI non sembri riconoscerlo. I programmi DEI sono progettati per creare un ambiente aziendale in cui tutti abbiano le stesse opportunità di lavorare, prosperare e progredire, e senza queste considerazioni le nostre pratiche di assunzione sono, ancora, immeritocratiche.

In realtà, mi spiace dirlo,  il MEI è il volto più gentile e professionale della supremazia bianca. E funziona così:

  • Si dà per scontato che il campo di gioco sia equo (quando non lo è)
  • Uso profuso del gaslighting e la mentalità vittimistica per convincere il pubblico che la parte dominante è la vera vittima, quando invece è già avvantaggiato
  • Strumentalizzare il DEI dandogli connotati negativi e inutili, spingendo affinché aziende e le organizzazioni il DEI nei loro programmi di formazione
  • Inventare una nuova terminologia per sembrare innovativi
  • Ampliare le disparità preesistenti tra i gruppi, pur continuando a lamentarsi della discriminazione.

La ricerca di un futuro meritocratico da parte di Wang è onorevole, e tutti i datori di lavoro dovrebbero aspirarvi. Come dice lui, “è un bene per gli affari e la cosa giusta da fare”, e gran parte del suo blog contiene le stesse motivazioni condivise da molti leader delle Risorse Umane e della DEI. “Un processo di assunzione basato sul merito produrrà naturalmente una varietà di background e di prospettive”, dice, tuttavia, ha fallito nell’ultima linea di ragionamento: scambiare la DEI per un’agenda (politica) che avvantaggerà solo una manciata di gruppi demografici e ne svantaggerà altri, piuttosto che creare condizioni di parità per tutti. Non si può sfuggire al fatto che alcuni gruppi demografici hanno indubbiamente avuto la meglio su altri nel corso della storia aziendale cosiddetta occidentale.

In questa conversazione DEI vs. MEI, è importante riconoscere che il merito non riguarda solo le qualifiche sulla carta, ma l’intero spettro di ciò che una persona porta al tavolo. Questo include prospettive diverse, esperienze vissute e la capacità di navigare e contribuire a un mondo multiculturale. Quando restringiamo la nostra definizione di merito alle metriche tradizionali – come i titoli di studio, gli anni di esperienza o le competenze tecniche specifiche – trascuriamo i contributi inestimabili che provengono da un’ampia gamma di background.

Il DEI assicura che il merito sia visto nel suo contesto più completo. Riconosce che il potenziale di un candidato non è dato solo dal suo curriculum, ma anche dalle intuizioni uniche e dalle capacità di risolvere i problemi che derivano dalla sua diversità culturale, sociale ed esperienziale. Queste qualità diverse possono guidare l’innovazione, favorire la creatività e consentire ai team di servire meglio una base clienti globale.

 

 

 

La meritocrazia non può esistere senza DEI

Prendiamo la convinzione di Wang e Scale AI che “le persone dovrebbero essere giudicate in base al contenuto del loro carattere – e, come colleghi, essere giudicati anche in base al loro talento, alle loro capacità e alla loro etica lavorativa”.

È assolutamente valido, ma la rimozione del DEI, se non altro, si opporrà alla creazione di questo prezioso obiettivo. Per quei gruppi che sono stati sistematicamente svantaggiati non a causa del loro talento, delle loro capacità e della loro etica lavorativa, ma a causa dei loro dati demografici, l’eliminazione del DEI non farebbe altro che ripristinare questi pregiudizi.

Forse può essere attribuito a un semplice malinteso sul significato effettivo di DEI e su ciò che le aziende che abbracciano il DEI stanno cercando di ottenere. Se il MEI fosse invece sinonimo di meritocrazia, equità e inclusione, non sarebbe molto diverso dal DEI stesso.

Ma una cosa che Wang ha azzeccato è la sua confutazione dell’idea che la meritocrazia sia in conflitto con la diversità. Il MEI non può sostituire il DEI, ma deve esistere.

 

Il mito della diversità naturale attraverso il MEI

Il dibattito DEI vs. MEI è spesso imperniato sul presupposto che la diversità si verificherà naturalmente se ci concentriamo solo sul merito. Quest’idea, sebbene attraente, è profondamente sbagliata. Ad esempio, la ricerca ha dimostrato che i curriculum con nomi percepiti come “etnici” hanno il 50% in meno di probabilità di essere richiamati rispetto a quelli con nomi tradizionalmente bianchi, nonostante abbiano qualifiche identiche.

E’ successo molto spesso anche alla sottoscritta, durante gli  anni dell’università, essere chiamata a colloqui dato un CV di tutto rispetto nonostante la giovane età. Ma puntualmente, quando mi presentavo ai colloqui, le facce assumevano contorni paonazzi ed era ben percettibile (neanche tanto visto che alcuni si sono lasciati sfuggire commenti come “ah! Ma non è italiana?”)  la “delusione” per il fatto che la mia presenza fisica non combaciasse con quello che ritenevano il mio nome e cognome avrebbe dovuto rappresentare. Vi lascio indovinare come sono andati a finire le blasonate assunzioni nei posti dove mi ero candidata. I meravigliosi e laconici “lei è troppo qualificata per questa posizione” ( a 22 anni?????) sono diventati i meme più divertenti della mia vita!

Senza sforzi intenzionali da parte della DEI, spesso entrano in gioco pregiudizi inconsci che portano a decisioni di assunzione che favoriscono coloro che hanno l’aspetto, il pensiero e il comportamento di chi prende le decisioni. Non si tratta solo di razza o di sesso, ma anche della tendenza a scegliere candidati con percorsi formativi, esperienze lavorative e persino tratti di personalità simili.

Il DEI ci sfida a essere più consapevoli di questi pregiudizi e a cercare attivamente i talenti dei gruppi sottorappresentati che potrebbero non avere le stesse opportunità di mostrare il loro ‘merito’ in modo tradizionale. Ampliando la definizione di ciò che costituisce l’eccellenza, il DEI consente una comprensione più ricca e inclusiva del talento.

 

 

La soggettività dell’“eccellenza”

I sostenitori del MEI sostengono che l’“eccellenza” dovrebbe essere l’unico criterio di assunzione. Tuttavia, l’“eccellenza” è spesso soggettiva e influenzata da norme culturali, pregiudizi e disuguaglianze sistemiche. Ciò che una persona considera eccellente può essere diverso dalla prospettiva di un’altra. Ad esempio, gli stili di leadership possono variare notevolmente da una cultura all’altra; ciò che è considerato una leadership forte in un contesto potrebbe essere percepito diversamente in un altro.

Il DEI ci incoraggia ad ampliare la nostra comprensione dell’eccellenza. Ci chiede di considerare diversi stili di leadership, metodi di comunicazione e approcci alla risoluzione dei problemi come preziosi e degni di essere coltivati. Questo non diluisce il merito, ma lo arricchisce, assicurando che una gamma più ampia di talenti e prospettive venga riconosciuta e premiata.

 

 

DEI e MEI: Non si escludono a vicenda

La vera fallacia dell’argomento DEI vs. MEI è il presupposto che DEI e MEI si escludano a vicenda. In realtà, il DEI migliora il MEI, garantendo che venga preso in considerazione un pool più ampio di talenti e che il merito venga valutato in modo più equo. Abbracciando il DEI, le organizzazioni non abbassano il livello, ma lo alzano, favorendo ambienti in cui tutti i dipendenti hanno l’opportunità di prosperare e in cui le idee migliori, indipendentemente dalla loro fonte, possono emergere.

 

 

Affrontare la frustrazione aziendale con il DEI

È vero che alcune organizzazioni hanno avuto difficoltà a implementare le iniziative DEI, spesso citando investimenti insufficienti e la mancanza di leader esperti. Ma abbandonare la DEI a favore della MEI non è la soluzione. Al contrario, le organizzazioni devono investire nella DEI con lo stesso rigore e le stesse risorse che impiegano in altre aree aziendali critiche. Ciò significa formare i leader a comprendere e valorizzare la diversità, creare obiettivi DEI chiari e misurabili, e responsabilizzare l’intera organizzazione sui progressi.

Se fatta bene, la DEI non crea solo un ambiente di lavoro più inclusivo, ma porta a risultati aziendali migliori. La ricerca ha dimostrato costantemente che i team diversificati superano quelli omogenei, in particolare nella risoluzione dei problemi e nel processo decisionale. La DEI non è una cosa piacevole, ma un imperativo aziendale.

 

 

Andare avanti

Il passaggio al MEI con il pretesto della pura meritocrazia rischia di vanificare molti dei progressi compiuti nella creazione di ambienti di lavoro più inclusivi. È importante capire che il merito, l’eccellenza e l’intelligenza non sono in opposizione alla diversità, all’equità e all’inclusione. Anzi, sono profondamente intrecciati. La vera meritocrazia può essere raggiunta solo quando riconosciamo e lavoriamo attivamente per eliminare le barriere che storicamente hanno escluso le persone di talento provenienti da determinati ambienti.

Il DEI non consiste nell’abbassare gli standard, ma nel ridefinirli in modo da riflettere veramente il mondo diversificato in cui viviamo. Così facendo, creiamo un ambiente di lavoro in cui tutti hanno l’opportunità di eccellere e in cui l’intera gamma del potenziale umano viene riconosciuta e valorizzata.

 

 

 

Luisa Casagrande | Senior Mentor & Trainer Métissage Dynamics© | Autrice di

📚📚📚“𝗘𝗱𝘂𝗰𝗮𝗿𝗲 𝗹’𝗶𝗱𝗲𝗻𝘁𝗶𝘁𝗮̀ 𝗰𝘂𝗹𝘁𝘂𝗿𝗮𝗹𝗲 – 𝗨𝗻𝗮 𝗴𝘂𝗶𝗱𝗮 𝗽𝗲𝗿 𝗰𝗿𝗲𝘀𝗰𝗲𝗿𝗲 𝗰𝗼𝗻𝘀𝗮𝗽𝗲𝘃𝗼𝗹𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗽𝗿𝗼𝗽𝗿𝗶𝗲 𝗰𝘂𝗹𝘁𝘂𝗿𝗲 𝗲 𝘁𝗿𝗮𝗱𝗶𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶” – Pagine 346

 

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