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Consulenza e Formazione: le imprese di Sisifo in Italia.

 

In un incontro tra amici imprenditori ieri si è parlato moltissimo della mia esperienza italiana di professionista in un ambito saturo e particolarmente aleatoria: quello della consulenza e della formazione.

 

In un contesto anglosassone, dove ho operato per decenni nel fornire consulenza e formazione, è qualcosa di attivamente interessante legata a vari fattori culturali, economici e di mentalità. In particolare, l’industria della consulenza e formazione ha dinamiche diverse a seconda del contesto in cui viene applicata, e la percezione che si ha di questi settori varia a seconda della mentalità imprenditoriale e dell’approccio al cambiamento. Sono visti come strumenti strategici per l’evoluzione e la competitività, mentre , in Italia c’è ancora una certa resistenza a considerare questi servizi come investimenti indispensabili per il miglioramento a lungo termine. La visione più pragmatica, la cultura aziendale più tradizionale e la resistenza al cambiamento rallentano, il più delle volte, l’adozione di pratiche innovative nel settore.

 

 

Fattore determinante, da quello che ho sperimentato e che ho condiviso con i miei amici, è il tipo di mentalità e l’apertura all’innovazione: nei paesi anglosassoni, c’è una mentalità fortemente orientata all’innovazione, al miglioramento continuo e alla valorizzazione delle competenze.

 

La consulenza e la formazione sono viste come strumenti vitali per evolversi, competere e rimanere al passo con i cambiamenti tecnologici e di mercato. Le imprese sono costantemente alla ricerca di modi per ottimizzare i loro processi, aggiornare le competenze dei propri team e affrontare nuove sfide. Le aziende anglosassoni sono più disposte a investire in formazione per i propri dipendenti, spesso con l’obiettivo di migliorare la performance a livello individuale e collettivo.

 

In Italia, invece, stiamo fermi al palo. Sebbene il settore della consulenza e della formazione, sia ampio e in crescita in alcuni ambiti, spesso si scontra con una certa resistenza al cambiamento. La cultura aziendale italiana è ancora spesso più tradizionalista e meno predisposta a vedere la consulenza come un’opportunità di miglioramento continuo. L’approccio al cambiamento è talvolta più reattivo che proattivo. Inoltre, molti imprenditori italiani, specialmente nelle piccole e medie imprese, possono considerare la consulenza e la formazione come un “di più” piuttosto che come un investimento strategico per il futuro. Questo crea una barriera mentale che rende difficile attrarre clienti nel settore, in particolare in tempi di incertezze economiche o difficoltà finanziarie.

 

 

Inoltre il concetto di flessibilità e adattabilità diventa un terno al lotto: i consulenti e i formatori anglosassoni sono abituati a lavorare in contesti molto dinamici e con una varietà di settori diversi. C’è un forte orientamento a personalizzare le soluzioni per rispondere alle esigenze specifiche di ciascun cliente. Le soluzioni di consulenza e formazione vengono spesso costruite attorno alle necessità immediate del cliente, con un focus pratico e orientato al risultato. Inoltre, in un ambiente anglosassone, è più comune che le soluzioni siano scalabili e flessibili, con l’intento di adattarsi rapidamente ai cambiamenti tecnologici e alle esigenze emergenti. In Italia, invece, la consulenza e la formazione sono a volte percepite come più rigide o standardizzate. La personalizzazione dell’offerta è meno frequente rispetto ai modelli anglosassoni, e le imprese italiane tendono a concentrarsi maggiormente sulle soluzioni tradizionali piuttosto che abbracciare metodologie innovative o disruptive. C’è anche una certa difficoltà a tradurre l’innovazione in pratiche concrete, un po’ per la cultura aziendale più conservatrice e un po’ per la scarsità di risorse che molte PMI italiane hanno a disposizione.

 

 

Poi c’è il discorso sull’investimento nel capitale umano: nei paesi anglosassoni, la formazione continua è considerata una necessità per il successo a lungo termine di un’azienda. Le aziende investono volentieri in programmi di formazione per i propri dipendenti, sia per migliorare le competenze esistenti, sia per sviluppare nuove abilità. Questo investimento è visto come una strategia vincente per mantenere l’azienda competitiva. L’industria della consulenza e formazione è fiorente, con una vasta gamma di specialisti che offrono servizi di alto livello su scala globale, e la concorrenza stimola ulteriormente la qualità e l’innovazione nelle offerte.

 

In Italia, sebbene esistano eccellenti programmi di formazione, spesso si fatica a convincere le aziende a considerare questi investimenti come prioritari. La formazione viene a volte vista come un’attività accessoria o un’utile “compito” burocratico, piuttosto che un’opportunità di crescita reale. C’è anche una certa incertezza su come misurare il ritorno sugli investimenti in formazione, il che rende alcuni imprenditori cauti nel fare investimenti significativi in questo ambito. In particolare, nelle piccole imprese, la risorsa economica è limitata e l’approccio tende a essere più pragmatico, focalizzandosi su soluzioni che diano risultati rapidi e tangibili.

 

 

E che dire sull’orientamento al risultato e misurazione? Le aziende nei paesi anglosassoni tendono ad avere un approccio molto orientato ai dati. La consulenza e la formazione non sono considerate un fine in sé, ma un mezzo per ottenere risultati concreti, misurabili e a breve termine. L’accento è posto sulla valutazione dell’efficacia delle attività formative e consulenziali, con un focus costante sul miglioramento delle performance e sul ritorno sugli investimenti (ROI). Esistono anche strumenti sofisticati per tracciare i progressi e le performance, il che crea un ambiente molto orientato ai risultati.

 

In Italia, anche se il concetto di ROI è ben conosciuto, la valutazione delle attività di consulenza e formazione tende a essere meno rigorosa. Spesso si dà maggiore enfasi alla “relazione” che si instaura con il consulente o il formatore, piuttosto che ai risultati concreti misurabili (e qui entrano in gioco certi modi di concepire gli associazionismi – “obbligatorie” per poter esercitare una professione senza un cero e proprio albo professionale – che offrono opportunità all’amico dell’amico di mio cugino anziché valutare la validità della varie proposte). Le aziende italiane, pur riconoscendo l’importanza della formazione, a volte faticano a legare questi investimenti a obiettivi aziendali chiari e a un’analisi dei risultati misurabili, il che può portare a un uso meno strategico di questi servizi.

 

 

Infine la cultura del networking e delle collaborazioni che nei contesti anglosassoni, traducono la consulenza e la formazione spesso integrandole in un ecosistema di networking molto ampio. I consulenti tendono a lavorare insieme ad altri professionisti, a condividere best practices e a partecipare a eventi di networking per creare sinergie e opportunità di collaborazione. Questo facilita il flusso di idee innovative e promuove una cultura di crescita condivisa. In Italia, sebbene ci siano eccellenti professionisti, il networking diventa più limitato, e il lavoro di consulenza e formazione può talvolta essere visto come una prestazione individuale più che una collaborazione continua con altri esperti. Le barriere culturali e le differenze tra le diverse aree geografiche (Nord vs Sud, ad esempio) possono anche influire sulla facilità con cui si creano reti di contatti tra professionisti del settore.

 

 

Tuttavia, la mia esperienza internazionale e la comprensione delle dinamiche più avanzate di consulenza e formazione mi pongono in una posizione privilegiata per introdurre concetti e soluzioni che, con il tempo, potrebbero guadagnarsi un posto anche nel panorama italiano.

 

 

Luisa Casagrande | Senior Mentor & Trainer Métissage Dynamics© | Autrice di

📚📚📚“𝗘𝗱𝘂𝗰𝗮𝗿𝗲 𝗹’𝗶𝗱𝗲𝗻𝘁𝗶𝘁𝗮̀ 𝗰𝘂𝗹𝘁𝘂𝗿𝗮𝗹𝗲 – 𝗨𝗻𝗮 𝗴𝘂𝗶𝗱𝗮 𝗽𝗲𝗿 𝗰𝗿𝗲𝘀𝗰𝗲𝗿𝗲 𝗰𝗼𝗻𝘀𝗮𝗽𝗲𝘃𝗼𝗹𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗽𝗿𝗼𝗽𝗿𝗶𝗲 𝗰𝘂𝗹𝘁𝘂𝗿𝗲 𝗲 𝘁𝗿𝗮𝗱𝗶𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶” –

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