Parlare di inter-culturalità, multiculturalità, multi e inter-razzialità (concetti profondamente diversi e per nulla interscambiabili) nel contesto italiano è spesso causa di forti mal di pancia, storcimenti di naso se non un vero e proprio disinteresse. Si vive ancora nella bolla del “siamo tutti uguali” e si ritiene di applicare soluzioni sommarie e standard in individui/team che, fortunatamente, hanno una propria genesi ed una loro ragione d’esistere.
Trovo sia giunto il momento di avere delle conversazioni profondamente inclusive, eque ed interessate. Trovo sia giunto il momento di ragionare su altri livelli con nuovi strumenti e nuove strategie interculturali, accettando il fatto che la nostra società è, purtroppo, ancora sistematicamente strutturata in una suddivisione razziale e culturale che, lo sappiamo benissimo, non ha nemmeno più senso di esistere. Solo da questa accettazione ci è possibile muovere qualsiasi azione verso un cambiamento degno di nota. Nascondere sotto il tappeto, o, peggio, negare l’esistenza di questa consuetudine, avvolti in quel fastidioso atteggiamento buonista e negazionista, non fa altro che accentuare il disagio di non-appartenenza in chi si sente parte di una minoranza sistematicamente sfruttata, abusata ed esclusa dai grandi giochi.
Come Mentore professionalmente coinvolta nell’ambito della Multiculturalità in contesti anglosassoni e italiani, debbo asserire che non è necessario per i Mentori stessi avere lo stesso background culturale o sociale dei loro Mentee. Ma devono prestare molta attenzione alle implicazioni delle differenze e non fingere che siano inesistenti.
In Italia non abbiamo una sufficiente esperienza in comunità integrate da saper comunicare efficacemente tra di noi e da lavorare insieme per creare una realtà più globale. E nemmeno siamo pronti a trovare strategie interculturali che aiutino gli individui, la Aziende e le Organizzazioni a muoversi verso un contesto più equo. Molti sforzi si fanno, ma viaggiano, troppo spesso, su un unico, noioso, binario.
Lo dico perché ho avuto modo di interfacciarmi con colleghi di ineccepibile spessore provenienti da contesti diversi, e, riflettendo sulle nostre pratiche, sia formali che informali, abbiamo tutti convenuto che c’è davvero molto lavoro da fare. Iniziando dalla formazione di quei Mentori che hanno un background o un’identità diversa da quella dominante; una formazione che deve abbracciare l’abilità nel navigare tra i confini culturali: personali, di genere, razziali, etnici e geografici.
A causa della complessità del Mentoring Transculturale, i Mentori dovrebbero possedere determinati attributi o abilità: oltre a quelli standard dell’altruismo, della capacità di ascolto attivo, dell’onestà, dell’atteggiamento non giudicante, della persistenza e pazienza, anche e, soprattutto, un’ apprezzamento incondizionato per la diversità. Di fronte a numerose sfide impegnative, come, per esempio, la gestione di personalità difficili, il mantenimento dei confini e il superamento di tensioni di genere e razziali, i Mentori dovrebbero generare strategie che coinvolgano la reale conoscenza di questi contesti e gli elementi che creano queste problematiche.
Riferendomi, specificatamente, al Mentoring Interrazziale (argomento che non piace a nessuno perché implica parlare di un costrutto sociale quale quello della razza, che tutti vorrebbero far sparire – cancel culture? – con un colpo di bacchetta magica, ma la cui realtà ci rispedisce le sfumature più subdole) una delle sfide uniche consiste nel superare l’idea che le razze “hanno valori diversi o capiscono il mondo in modo diverso”. Questa prospettiva, che è prevalente nella nostra società, può ironicamente favorire la fiducia nelle relazioni di mentoring tra persone della stessa razza, perché il Mentee presume, automaticamente, una somiglianza di valori e di visione del mondo con il mentore. Devo però far osservare come, nonostante le relazioni di mentoring tra persone della stessa razza siano più facili di quelle tra persone di razze diverse, non tutte le relazioni di mentoring interrazziali pongono gli stessi tipi di sfide. Spesso, infatti, sono i Mentee bianchi a lottare di più con le questioni razziali. Di conseguenza, potrebbero avere più da guadagnare impegnandosi in relazioni di mentoring con docenti non bianchi.
Nella mia esperienza Irlandese, per esempio, mi è capitato, più che spesso, di assistere colleghi Mentori bianchi che hanno dovuto lavorare per superare la loro posizione di privilegio bianco ed hanno compreso l’importanza di affrontare questo tema per poter superare tutti quegli ostacoli, quelle paure, quei pregiudizi e stereotipi sulle altre razze, culture e etnie (ricordiamoci che non sono la stessa cosa!!) che, inconsapevolmente o meno, hanno impedito loro di relazionarsi empatizzando e comprendendo, in modo sereno, la situazione personale dei loro Mentee.
E’ fuori dubbio che quando si ha a che fare con il Mentoring Interrazziale e Interculturale diventa indispensabile e più efficace andare oltre i tradizionali formati di mentoring per considerare altri aspetti legati all’adattamento a sistemi e norme culturali diversi. E’ fondamentale, in questo ambito, dimostrare competenza culturale, perché una mancanza di consapevolezza culturale da parte di un Mentore può influenzare negativamente la qualità di una relazione di mentoring.
I mentori dovrebbero mantenere una duplice prospettiva: vedere il Mentee come individuo e come parte di un contesto sociale più ampio. Penso che uno degli aspetti più impegnativi dell’essere mentore abbia a che fare con la propria personalità: sostenere il Mentee nel suo percorso senza diventare troppo prescrittivo né intromettersi nelle sue scelte. I Mentee dovrebbero trovare la loro strada e i Mentori essere pronti ad affrontare le questioni più spinose e a capire che i loro sforzi potrebbero non essere ripagati rapidamente. Inoltre, il Mentore dovrebbe stare molto attento, soprattutto se alle prime armi in questo ambito, a non farsi travolgere dall’entusiasmo per un tema nuovo scordando di prepararsi e predisporsi all’empatia con il suo Mentee. E, poiché la relazione di mentoring può dare origine a questioni delicate, il Mentore deovrebbe negoziare con il Mentee gli opportuni confini e limiti etici. Fondare la relazione di mentoring sull’amicizia con il Mentee porta, inevitabilmente, alla difficoltà di riacquistare la propria autorità professionale come Mentore, soprattutto se si è in una posizione di privilegio rispetto alla provenienza del Mentee.
In ultimo luogo desidero fare particolare menzione sull’intersezionalità delle differenze di genere, razza, etnia e background culturale del Mentee. Un rapporto di Mentoring uomo/donna dello stesso background culturale, per esempio, non è garanzia della sua riuscita perché potrebbe essere difficile capire fino a dove ci si può spingere dal momento che non si conoscono tutti quei confini e quelle sfumature che differenziano i due generi all’interno della stessa cultura. Ci si pone il problema della delicatezza con cui affrontare determinati temi affinché non vengano fraintesi, mal interpretati o che risultino inappropriate; della consapevolezza dei diversi modi di porre confini e limiti e dal fatto che, spesso, esiste questo pregiudizio sul fatto che, la maggior parte degli uomini siano socializzati a perseguire le cose in modo diretto e lineare, mentre le donne socializzate ad essere più olistiche nel loro approccio alle problematiche. E questo vale per la maggior parte delle culture cosiddette occidentali.
Diversità Culturale e Mentoring, quindi, sono una grande partnership perché, grazie allo scambio di conoscenze, valori ed esperienze culturali, entrambi i partner (Mentore e Mentee) imparano a conoscere meglio una cultura diversa e, così facendo, possono promuovere l’obiettivo di creare condizioni di parità per tutti sul posto di lavoro. E’ importante che i Mentori bianchi o maggioritari comprendano che le diverse culture reagiscono in modo diverso.
In queste circostanze, è importante che il Mentore prenda l’iniziativa di esprimere il proprio desiderio nel voler conoscere meglio il Mentee e far comprendere che condividendo le proprie esperienze, conoscenze, cultura, ecc. il Mentee ne trarrà vantaggio. Ciò significa che il Mentore potrebbe dover porre domande che esplorano il background e la cultura del Mentee, non in modo invadente, ma al fine di conoscere e capire meglio il Mentee stesso. Per i Mentori in questo tipo di relazioni, è facile fraintendere la riluttanza a condividere da parte del Mentee come se si trattasse semplicemente di un rifiuto, mentre in realtà il Mentee è deferente nei confronti del Mentore.
Le sfumature culturali hanno un impatto sul mentoring e, poiché il mentoring è una relazione, è importante per tutti noi, in queste relazioni, imparare a conoscere l’altro… non solo facendo domande, ma esplorando le risorse che possono far luce sul background culturale del Mentee o del Mentore. Prendere un libro che tratta delle differenze culturali o andare in rete per esplorare la cultura specifica del proprio partner è un primo passo e può fornire indicazioni preziose su come comunicare e impegnarsi al meglio come coppia Mentore-Mentee.